Rombo di tuono e il Cagliari dei miracoli

Potendo chiedere ai sardi qual è la più bella storia che abbiano mai vissuto, sentito o visto probabilmente molti risponderebbero: il Cagliari del ’70, e non risponderebbero in questo modo solo i più anziani, ma anche i più giovani, a cui è stata tramandata questa storia, quasi come fosse una leggenda. Quella gloriosa squadra che nella primavera del 1970 portò per la prima (ed unica volta) la capitale italiana del calcio proprio nel capoluogo sardo. Quello scudetto non fu semplicemente la vittoria di una società in una competizione sportiva; fu la vittoria del popolo sardo, fino ad allora emarginato e considerato come subordinato rispetto alla popolazione della penisola italica, che legittimò la propria appartenenza all’Italia; fu la rivincita dell’intero Mezzogiorno, considerato arretrato, sul “progressista” ed “evoluto” Settentrione (il Cagliari fu la prima squadra del Sud a vincere lo scudetto). <<Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità>> dirà di quel Cagliari il giornalista Gianni Brera.

Tuttavia se da un punto di vista emotivo lo scudetto del Cagliari rasenta i tratti dell’impresa eroica, da un punto di vista sportivo fu tutt’altro che un avvenimento inaspetta
to o un miracolo: fu infatti semplicemente la ovvia ricompensa per la squadra più forte. Sotto la sapiente dirigenza di Efisio Corrias e l’ottima gestione tecnica dell’allenatore Manlio Scopigno, il Cagliari già nell’anno precedente aveva legittimato la sua forza piazzandosi al secondo posto dietro la Fiorentina. Già in quell’anno la squadra sarda annoverava nella sua rosa giocatori del calibro di Riva, Albertosi e Nene, a cui poi si aggiungeranno nell’anno dello scudetto Gori e Domenghini.

La guida di questo agglomerato di “pastori e banditi” (così infatti i giocatori sardi venivano chiamati dalle tifoserie avversarie, integrando gli estremi di quello che oggi è detto “razzismo regionalistico”) era, come detto, Manlio Scopigno, soprannominato “il filosofo”. Era un allenatore, come lui stesso amava definirsi, bizzarro: con lui infatti nello spogliatoio si respirava un’aria di libertà giocosa, goliardica, aliena ad un calcio fatto di regole ferree e rigidi divieti. <<Ritiri zero – spiega Tomasini, uno dei componenti di quel Cagliari -. Scopigno ci diceva: “Lo fanno le squadre che stanno per retrocedere, e poi retrocedono lo stesso. E allora tanto vale non farli”>>. Quest’ultimo è solo uno dei tanti goliardici aneddoti che contraddistinguono la memoria di Scopigno, tuttavia quando si trattava di lavorare seriamente in campo, non transigeva alcuna distrazione.

Ma il simbolo di questa squadra, il vero alfiere del Cagliari era sicuramente Gigi Riva, unanimemente considerato come uno dei giocatori italiani più forti della storia, il cui sinistro fulminante lo consegnerà alla storia con il soprannome di “Rombo di tuono” (attribuitogli dal giornalista Gianni Brera). Riva, che agiva da ala sinistra nello scacchiere di Scopigno, segnò in quell’anno 21 gol, con i quali venne nominato capocannoniere per il secondo anno consecutivo e nonostante le allettanti offerte di Inter, Milan e Juventus decise di legare indissolubilmente il suo nome alla storia del Cagliari. Terminerà la carriera proprio da capitano degli isolani mettendo a segno 213 gol totali ed entrando, con tutto merito, nell’Olimpo del calcio italiano.

Un altro importante fattore determinante della vittoria del Cagliari fu il suo stadio, l’Amsicora. <<Quando si giocava in casa, all’Amsicora – spiega un altro giocatore del Cagliari, Cera – c’era gente che partiva dalle montagne dell’entroterra il sabato notte e la domenica mattina era già fuori dallo stadio ad aspettarci>>. Il vecchio Amsicora era un vero e proprio tempio per i tifosi cagliaritani, il cui supporto sfrenato spinse i propri beniamini alla vittoria dello scudetto, proprio sul loro campo.

In un campionato, come quello italiano, il cui albo d’oro elenca sempre i nomi di squadre blasonate ed abituate a vincere, la vittoria del Cagliari nel 1970 costituisce una vera e propria eccezione (l’altra è il miracoloso Verona del 1985). E sono proprio queste le vittorie che fanno palpitare i cuori degli amanti di questo, come di ogni, sport: le vittorie dei pesci piccoli in un mare di squali famelici, le vittorie degli umiliati sugli arroganti, le vittorie dei poveri sui ricchi, le vittorie degli ultimi sui primi.